In questa sezione, la Miniera, il sasso di San Zanobi, il sasso della Mantesca, stele gran Rapporto, monumento all’aviatore Cap. D’Amico.

La Miniera di Rame di Monte Gurlano
(Loc. Fontanelle)

Nell’alta valle dell’Idice ci furono diverse miniere di rame, la più importante, a livello estrattivo e produttivo fu quella di Bisano, storicamente nota dal 1674, quando il Marchese M. Antonio Montalbano della Fratta scoprì il giacimento; altre notizie in merito alla zona, risalgono successivamente al 1781, fornite dall’abate Serafino Calindri, che cita in alcuni scritti il Conte M. Hercolani quale protagonista di ritrovamenti di minerali di rame nei dintorni del paese di Bisano. Ma la vera e continuativa ricerca mineraria fu iniziata dalla Società Mineralogica Bolognese nel 1846.

Foto di Gilberto Tedeschi.
Panorama zona Gurlano, nel cerchio Fontanelle, dietro, monte Gurlano

Monte Gurlano (quota 802) offre un magnifico campo di osservazione per il geologo. Rappresenta la più cospicua emersione di rocce eruttive di tutto il bacino dell’Idice, prevalentemente costituito di diabase porfirica. Si notano, tra i composti di rame, la calcosina, la bornite e la calcopirite prevalentemente. Abbonda, in estesissime chiazze verdi superficiali, la malachite. Alcuni noduli di rame metallico si riscontrano nei detriti di falda, tra la roccia serpentinosa e la roccia sedimentaria che in certi punti risulta fortemente venata da queste inclusioni di rame nativo.

Dalla Relazione Tecnica linea ferroviaria, Bologna Firenzuola Borgo S. Lorenzo, Studio Geologico del tracciato, caratteristiche mineralogiche del terreno attraversato dalla ferrovia, dell’ Ing. RINO RIO -1923-
(Linea ferroviaria mai costruita).

Nel 1847 si costituiva legalmente a Bologna la Società Mineralogia Bolognese con l’autorizzazione e privilegio, ottenuto dal Governo Pontificio, per la esplorazione e coltivazione delle miniere che si potessero rinvenire nel territorio bolognese e nelle provincie limitrofe.
(La Società Mineralogica Bolognese visse fino al 1879)

I luoghi esplorati, in ordine di tempo, sono i seguenti: I Tre Poggioli, Bisano La Fenarina, Le Pianelle, La Fornasaccia, Cà del Zonca, Le Fontanelle, Monte Gurlano.

Ricerche di Fontanelle - Monte Gurlano


Nel territorio del comune di Monghidoro, parrocchia di Campeggio trovasi un territorio aspro e scosceso con grossi massi e corsi d’acqua che scendono dal monte Gurlano formando alcuni tor rentelli dai nomi singolari quali Grotta del lupo, Angeloni, Aia di metallo, Casetta; questo magnifico terreno d’osservazione per il geologo o il collezionista potrebbe riservare gradite sorprese mineralogiche, vista la quantità di minerale cuprifero esistente: ad esempio la calcopirite, la malachite, che colora estesamente la superficie di alcune rocce ofiolitiche e l’abbondante rame nativo in larghe falde che intersecano le rilegature di alcune balze rocciose di questa zona.

Dopo molti studi e saggi minerari effettuati in zona, fu deciso di esplorare profondamente il giacimento; fu scelta la zona detta le Fontanelle, dove le rocce sembravano trovarsi nella posizione originaria. L’esplorazione fu effettuata scavando due profonde trincee della lunghezza complessiva do 40 metri, riscontrando effettivamente una potente vena cuprifera purtroppo contenuta in una roccia silicea di tale durezza da rendere la ricerca e l’estrazione estremamente difficoltosa: la ricerca fu quindi costretta nelle rocce oficalciche, incassate tra la roccia dioritica e salicea di più facile escavazione, ma produsse ugualmente rame di buona qualità, che sembrava meritevole di essere coltivato anche in futuro in profondità, mediante pozzi di ricerca.

Archivio Comune di Monghidoro

Un permesso di proroga, chiesta al Comune di Monghidoro, dalla Società Mineralogica Bolognese nel 1869 per continuare la ricerca del rame in zona Gurlano, in Parrocchia di Campeggio.

Carta località mineralogiche Monte Gurlano

La miniera di Gurlano con attigua piccola discarica può essere oggi definita non più di un saggio minerario, in pratica una galleria di esplorazione di 55 metri, scavata con esito negativo nel 1902 nei basalti ematitizzati. Questa galleria di assaggio fu scavata in concomitanza ai tentativi di riattivazione di Bisano e Sassonero, a seguito della loro chiusura ad ulteriore revoca di concessione del 1885. Negli anni 1900-1901-1902, dopo il rincaro del prezzo del rame, esse vennero parzialmente riattivate dal sig. Cesare Farnè e dal Conte Giovanni Codroni di Imola.

Dal libro di LUIGI BOMBICCI -1873- - Descrizione della mineralogia generale della provincia di Bologna-
Pianta in schizzo schematico della zona di Monte Gurlano località Fontanelle.

Foto di Gilberto Tedeschi

L’entrata dalla miniera ( oggi 2008) e l’interno, miniera scavata tutta nella roccia. Questa miniera fu usata dalla gente locale, durante la seconda guerra mondiale, come rifugio.

Dopo questi modesti tentativi di riattivazione in queste zone, nessuno si è più interessato a tali lavori, ad eccezione della ricerca a carattere collezionistico con modesti ritrovamenti.

L’esplorazione dovrebbe essere stata estesa in superficie e particolarmente nella zona di Monte Gurlano, che non fu mai razionalmente sfruttata e che si presenta la più ricca.

All’epoca delle miniere nell’alta valle dell’Idice, i mezzi meccanici erano ancora allo stato rudimentale e la tecnica mineraria contava allora pochi progressi, scarso era l’attrezzamento della miniera. Difettavano i mezzi di trasporto; la strada dell’Idice aveva termine a Cà di Bazzone e oltre diventava una mulattiera che costringeva a numerosi e scomodi guadi sul torrente Idice.
Altre due mulattiere conducevano una , alla Dogana del Filigare, e l’altra a Loiano.

Cà di Gurlano, e Monte Gurlano
In primo piano, Monte Gurlano visto da Est.


Ora tutta questa zona fa parte del parco naturale la Martina.

Il parco la Martina è stato realizzato dalla Provincia di Bologna nel 1972, su una superficie di circa 155 ettari, di proprietà del comune di Monghidoro. Un tempo quest’area era caratterizzata da prati e seminativi e da boschi radi di querce; poi , a partire dall’anno 1920 venne rimboschita con conifere quali il pino nero, il pino silvestre, l’abete bianco e il cipresso di Lawson.

Il parco offre l’ambiente ideale per passeggiate e soste all’aria aperta. Per chi volesse approfondire la conoscenza degli aspetti naturalistici dell’Appennino bolognese è stato predisposto un sentiero didattico ed inoltre, presso la casa del parco, sarà possibile ottenere informazioni e documentazioni. Il turismo e l’escursionismo sono inoltre agevolati dalla presenza, all’interno del parco, del camping la Martina.





La Parrocchia di Campeggio, confina a est con la parrocchia di Piancaldoli (Fi), questo crinale di confine, e spartiacque Idice-Sillaro, sarebbe il tracciato di un ramo della via romana Flaminia Minor, via costruita dal Console Gaio Flaminio nello stesso periodo che venne costruito la via Emilia, (Piacenza Rimini 187 a C.). Una via transappenninica per collegare Bonomia (Bologna) Arretium (Arezzo). Qualche ricercatore ritiene che la zona monte Canda, passo Raticosa sia stato, cerniera, di questa via romana, e che un ramo abbia percorso il crinale Idice-Sillaro per giungere alla città di Claterna sulla via Emilia.

Scendendo dal passo della Raticosa, (m.968), (ora chiamata strada dei Romagnoli), passato il colle di Canda, (qui c’è un punto chiamato buca dei ladri) si arriva al sasso di San Zanobi (m. 861) e proseguendo per il crinale verso Ospedaletto si trova il sasso della Mantesca, (m.826), queste due rocce, la prima compatta di colore verde cupo, la seconda scomposta e sparsa per il terreno, di colore rossastra. Il sasso di San Zanobi da molti creduto un meteorite. Gli studi geologici dicono che sono classiche unità ofiolitiche costituite da rocce di età giurassica in dispersione generale di tipo caotico nell’Appennino Tosco-Emiliano.

Queste rocce ofioliti sono state sradicate dai fondali dell’antico mare di Tetide con lo spostamento dei continenti, la zolla africana scorrendo sotto quella euroasiatica, ha dato forma a un impilamento dei sedimenti, formando prima le Alpi, poi gli Appennini. Abbiamo capito che queste rocce sono dalle nostre parti da diversi milioni di anni, e le terremo ancora, come vogliamo tenere anche le nostre “LEGGENDE”.


Il “SASSO DI SAN ZANOBI”
e
Il “SASSO DEL DIAVOLO”

(Dal libro PIANCALDOLI- Memorie Storico-Artistiche)
di Padre Serafino Gaddoni e Don Adelmo Marrani
- 1932 -

San. Zanobi l’Apostolo della Diocesi fiorentina e missionario delle nostre montagne . Il Papa S. Damaso lo elevò a Vescovo di Firenze e a quei tempi (400 anni dopo C.) anche nella Toscana, come in tutta Italia, Vescovi santi, apostoli pieni di zelo e grandi apologisti, oltre a una bella fioritura di martiri aveva già propagato le verità del Vangelo estirpando il culto alle divinità pagane. I luoghi più montuosi erano rimasti però nell’idolatria e non possiamo stabilire se gli Etruschi, primi abitatori della Toscana, avessero lasciato quassù l’amore alle loro divinità, oppure si odorasse Giove, alla cui somma potenza si consacrarono le cime più alte, o fosse il Dio Pennino da coi si ritiene possa essere derivato il nome ai monti Appennini.

Il Santo Vescovo Zanobi insieme ai Diaconi Crezenzio e Eugenio, annoverati poi nell’albo dei Santi, percorse le montagne predicando il Vangelo, convertendo le anime con la dottrina, la santità della vita e coi miracoli. La tradizione racconta che a Caburaccia, nel borgo di Pietramora (oggi Sasso di San Zanobi), sull’antica via Romana aperta da Gaio Flaminio, San Zanobi si incontrò con S. Ambrogio, Arcivescovo di Milano, quando questi andava a Roma per l’elezione di Papa S. Damaso. Il popolo devoto al Santo Pastore Fiorentino, ha creato una

pia leggenda.
(Dal libro di TITO CASINI “La Vigilia dello Sposo”)

Una bella mattina d’estate... il Diavolo comparve lassù. Più rabbioso più ignorante del solito: Chi sei tu che vieni a disturbarci anche qua ? Chi è questo G. Cristo ? Io sono il re dell’Inferno e domino i venti e le tempeste. Se tu pretendi passarmi avanti e prendermi il posto, avanti se puoi, caricati come faccio io alla presenza di tutti sulle spalle una di queste rocce e cammina ! facciamo vedere chi è più forte: cammina su al monte. Il Diavolo si buttò davvero sulle spallacce un macigno e con grande stupore di tutti si diede a salire gridando al santo che lo stesso facesse anche lui: Avanti, uno per uno, su alla montagna e senza riposi.

Chi arriva il primo, la montagna è sua.. Avanti o io ti sfido. Mi cambierò in vento e tempesta se resti perdente, e ti sperderò della terra !. Il Santo accettò e raccomandandosi a Dio che lo salvasse da quell’imbroglione, col segno di croce se ne caricò un altro, molto più grande e più pesante. Ahimè ! quel segno di croce non ci voleva. Parve una formidabile mazzata nelle gambe del gigante che dette un gran barcollone e cominciò a nicchiare orribilmente. Il Santo, calmo, e tranquillo come se portasse una mannella di stoppa, (c’è perfino chi dice che quell’enorme macigno lo portasse sul dito mignolo) intanto gli passò avanti “Signore mio G.Cristo” mormorava camminando fra il popolo che tutto gli veniva dietro, “ confondi questo nemico. ”

Questa invocazione finì per far cascare l’asino a quel Diavolo in commedia. Quel suo sasso lo schiacciava addirittura. Per non morirci sotto, dovette buttarlo giù e lo buttò giù con tanta rabbia per quella brutta figura che gli toccava fare, che lo fracassò tutto, sparendo poi fra le fiamme di fuoco. Le fiamme fecero diventare rosse tutte quelle pietre d’intorno e così sono ancora. Il santo, per far convinti tutti della verità, camminò con quel popolo fino in cima la salita e posò poi lungo la via il suo sasso, convertendo così a Cristo tutta la gente della grande montagna. E dicono anche che un’altra cosa originale successe.

Arrivati su quella montagna, i piedi di quella povera gente sanguinavano forte. Quelle parti sono coperte d’una certa pianta che chiamano bilumaca, piena di spine e di punte acute come aghi d’acciaio e camminarci sopra è un tormento. Quei piedi sanguinosi fecero compassione al santo. Egli benedisse quelle piante e tolse loro quelle spine crudeli. Le spine sparirono e non ci son più ritornate. Andate a vedere : le bilumache del sasso di S. Zenobi sono di speciale bontà e non bucano. Le pecore, le capre e tutte l’altre bestie le mangiano; i contadini le segano e le buttano in capanna con l’altro strame.

Ora i popoli toscani e romagnoli si radunano una volta l’anno, a far festa, sul ricordo di queste memorie, a quel sasso di S. Zenobi, dove c’è anche, dedicata al gran Vescovo di Firenze, una piccola cappella : vi si porta in processione da Caburaccia, la statua, e un oratore sacro, ogni anno, salito sopra un piccolo ciglio, fra quelle benigne bilumache, dice le lodi di San. Zanobi.

Ancora oggi (anni 2000) nella prima Domenica di Luglio, la popolazione di quei posti si raduna per ascoltare la S. Messa, e per festeggiare.

Foto di Gilberto Tedeschi 1985
– Pietramora – oggi Sasso di San Zanobi-

Una Curiosità, fino a qualche anno fa ai piedi del sasso, (vedi cerchietto) c’era una roccia rassomigliante a una persona curva , si diceva fosse S. Zanobi quando si scaricò il sasso. (ora la curiosa figura è crollata).

Foto archivio- Cav. Giuseppe Gitti- Monghidoro
La curiosa figura fotografata da più vicino.


Foto archivio- Cav. Giuseppe Gitti- Monghidoro
L’oratorio che era al sasso, dedicato a San. Zanobio Vescovo di Firenze.
Andò distrutto durante la seconda guerra mondiale, il sasso venne adibito a cava
per pietrisco da mettere sulle strade impantanate, per proseguire l’avanzata alleata.


Foto G. Tedeschi - 2008 –
Il sasso di San. Zanobi oggi.


Foto G. Tedeschi
Il Sasso del Diavolo- oggi- Sasso della Mantesca- o Maltesca,
e sulla destra un altro sasso di colore verde.

Al sasso della mantesca si possono trovare dei cristalli, (Zirconi). Essendo una pietra molto dura è stata usata negli anni per fare macine, e pavimentazioni, oggi (anni 2000) è usato solo a scopi didattici e di ricerca, e da qualche collezionista.

STELE COMMEMORATIVA DEL GRAN RAPPORTO

Il sasso della mantesca fu usato nel 1938 dagli scalpellini di Campeggio per fare le bozze per costruire il monumento del Duce, monumento eretto nelle vicinanze del sasso della mantesca.

Foto archivio – Cav. Giuseppe Gitti- Monghidoro
Stele commemorativa del Gran Rapporto tenuto dal Duce
dopo le grandi manovre dell’anno 1934, inaugurazione 27 Agosto 1939.

Monumento costruito su questo crinale, confine dei comuni, Firenzuola, Monghidoro,
Monterenzio, a sinistra la strada che si presume essere stata la Flaminia Minor.


Foto archivio – Cav. Giuseppe Gitti- Monghidoro
Monumento costruito con bozze del sasso della Maltesca, è stato demolito
a fine guerra 1945. Una piccola parte di queste bozze sono state usate per
costruire la fontana di Montalbano (Firenzuola)

Per Guardare il video dell’inaugurazione 27.08.1939
andare sul sito www.archivioluce.com e digitare sul motore di ricerca la parola – tre poggioli -


IL MONUMENTO ALL’AVIATORE
CAPITANO NICOLA D’AMICO

Capitano Nicola D’Amico, aviatore.

Nel 1934 su questi crinali dell’appennino Tosco-Emiliano furono fatte delle esercitazioni militari, Grandi Manovre, alla presenza del Re e Duce, e altre autorità italiane e straniere. Durante queste esercitazioni il Capitano Pilota Nicola D’Amico del 5° Stormo d’assalto, mentre effettuava un volo rasente di attacco al suolo, urtava il cavo di ritegno di un pallone osservatorio, precipitando al suolo perdendo la vita. (Il Capitano D’Amico aveva rinunciato alla licenza, per prendere parte alla manovre). Il pallone con dentro degli osservatori, riprese terra nella campagna fra Faenza e Forlì.

Da un giornale dell’epoca - LE VIE DELL’ARIA - 2 settembre 1934.

Ali infrante

Il giorno 24 agosto perdeva la vita nel compimento del proprio dovere, il Capitano Pilota Nicola D’Amico, valoroso in guerra e in pace. Nato a Roma il 30 luglio 1898, fu nominato, nel 1918, ufficiale di fanteria ed inviato, quale comandante la 180 Sezione Lanciafiamme, in Macedonia. Rientrato in Patria, fu assegnato, a sua domanda, al 35° Reparto d’assalto nella zona d’operazioni, ove prese parte a molti combattimenti e dopo un anno fu inviato in Bulgaria, col 63° Reggimento fanteria, e poi in alta Slesia, con il 135° Reggimento mobilitato. Entrato nel settembre 1923 nella R. Aeronautica, ebbe la nomina a pilota di aeroplano il 21 settembre 1924. Per la sua conoscenza delle lingue straniere e per la sua cultura, fu assegnato nel 1926 all’Ufficio Stampa e Propaganda del Ministero dell’Aeronautica e poi trasferito ad un Reparto d’impiego. Promosso Capitano nel 1929 e destinato alla Direzione Territoriale dei servizi chiese, perché egli amava molto il volo e le audacie, d’essere destinato al 5° Stormo d’assalto. Particolare commovente: il capitano D’Amico aveva rinunciato alla licenza, per prendere parte alle manovre. La fatalità ha voluto che egli cadesse da valoroso, come sempre aveva vissuto: che, infatti, durante una missione di finto bombardamento, effettuato a volo rasente, urtava contro il cavo di ritegno di un pallone osservatorio, precipitando al suolo. Il migliore elogio di lui è stato fatto dal Duce nel discorso pronunziato al Gran rapporto, subito dopo le manovre: ”Uno dei piloti, stamani, urtando il cavo di uno di quei draken che bisogna ormai considerare sorpassati nella tecnica della guerra moderna, ha lasciato la vita nell’adempimento del suo dovere. Rivolgiamo un pensiero commosso al capitano D’Amico che ha consacrato col suo sangue la collaborazione che deve regnare quotidiana e cameratesca fra tutti i componenti delle forze armate tese all’obiettivo comune”. La figura del compianto Ufficiale rimarrà nella mente di tutti gli aviatori, dei suoi numerosissimi amici e di tutti coloro che lo conobbero, scolpita indelebilmente come il suo nome che sarà scolpito nel Lapidario di travertino, sul basamento del Ministero dell’Aeronautica. Vadano alla famiglia le più sincere condoglianze delle "Vie dell’Aria".

Monumento all’aviatore, Capitano Nicola D’Amico,
caduto il 24 Agosto 1934 Inaugurato nel 1935.

Per Guardare il video dell’inaugurazione nel 1935
andare sul sito www.archivioluce.com e digitare sul motore di ricerca la parola – tre poggioli -



Un muratore intento alla costruzione del monumento al Cap. D’Amico,
il motore a stella dell’aereo caduto fu messo sul monumento.


Una formazione di aerei alle grandi manovre del 1934,
del tipo di quello caduto, - ANSALDO AC 3 -


Foto G. Tedeschi
Quello che era rimasto del monumento nel 2005.


Foto G. Tedeschi
Il nuovo monumento al Cap. Nicola D’Amico,
inaugurato il 25 settembre 2005.


Foto G. Tedeschi
Il giorno della cerimonia dell’inaugurazione, 25 Settembre 2005.


Altre foto sull’inaugurazione si trovano sul sito www.alpinimonghidoro.it
alla sezione Photogallery.


Gilberto T . Campeggio (Monghidoro) - 2008 -