Frassineta

Delizioso “borgo antico” dell’alta Valle dell’Idice, in Parrocchia di Campeggio Comune di Monghidoro.

Frassineta 1977

Frassineta 2008

Frassineta 2008

Frassineta e i suoi abitanti
dagli estimi del XIII e del XIV secolo.
Bruno Rovena

Frassineta oggi è una frazione del comune di Monghidoro, “ieri” era una villa (nell’uso geografico, fino al Sette – Ottocento, col temine “villa” si indicava la campagna e gli insediamenti aperti), facente parte della comunità di Campeggio, comunità che il comune di Bologna nel 1223, nella divisione in quartieri del nucleo cittadino e del territorio di montagna e di pianura, inscrisse, insieme a tutte quelle poste nella valle dell’Idice, nel quartiere di Porta Ravennate.

Nel 1235 fu istituito l’estimo, in pratica la denuncia e la stima dei beni mobili ed immobili detenuti da ciascun contribuente, dove le cifre elencate rappresentavano generalmente i redditi ovvero la rendita che i proprietari potevano ottenere affittando tali beni. In base all’estimo era applicata l’imposta diretta, in percentuali che variavano con il variare delle necessità finanziarie del Comune. Da questo estimo vennero però escluse le proprietà aristocratiche, quelle ecclesiastiche e quelle esenti.


Nell’estimo del 1245, molto particolareggiato, oltre i beni immobili, furono stimati gli animali, i debiti e i crediti di ciascun contribuente.

Dalla specifica delle qualità di colture si desume che l’economia in Campeggio era imperniata sia sull’agricoltura sia sullo sfruttamento delle risorse silvo – pastorali.

A Frassineta l’insediamento abitativo era limitato a due case.

Tre erano i residenti.

Il primo era Guido figlio di Spinello, proprietario di una casa in muratura, con mezza tornatura di terreno di qualità non specificata, ma essendo accanto alla casa è presumibile che fosse coltivato ad orto. Guido non possedeva animali ed era debitore verso Rainero da Pedramora di una corba di frumento e di nove denari, per l’affitto di un bene non specificato. Completano la sua stima due pezze di terreno arativo, verosimilmente utilizzato per la cerealicoltura. La particolare specifica “in muratura” della casa, testimonia una maggiore consistenza della sua struttura in un paesaggio edilizio ancora molto povero e prevalentemente costituito da strutture lignee.

Dagli estimi del contado di quegli anni risulta che la maggioranza delle case rurali in montagna erano prevalentemente costruite con legno col tetto di paglia: materiali facilmente reperibili nell’ambiente circostante. Di legno erano anche le recinzioni per gli animali o per separare l’abitazione da altre costruzioni confinanti o dai campi; strutture che all’occorrenza potevano essere smontate e rimontate in altro luogo a seconda della necessità del momento.

Il secondo era Pietro Volpi il quale non possedeva la casa ma partecipava all’estimo con tre tornature di terreno che coltivava a vigneto e a cereali.

Il terzo era Zanello figlio del fu Rainunzolo proprietario, insieme al fratello Guidobono della casa; insieme coltivano una tornatura e mezzo a vigneto e mezza tornatura ad arativo, quasi certamente ricavato dal bosco. Zanello aveva anche un figlio di nome Guidotto. Zanello inoltre era proprietario di un manzo e di una porcella, verosimilmente tenuti in un ricovero precario, se non addirittura conviventi nella stessa abitazione.

Come ogni altra famiglia contadina del tempo anche quella di Zanello cercava di assicurarsi varie qualità di prodotto: grano, uva, cereali, frutti spontanei del bosco, legname, per garantirsi l’autosufficienza. L’accostamento del coltivo e dell’incolto nell’ambito dello stesso appezzamento di terreno, che spesso era accanto all’abitazione, ci testimonia il ruolo fondamentale che rivestiva l’incolto nelle zone di montagna; queste due realtà s’integravano l’una con l’altra.

Vale la pena porre l’accento sull’importanza che aveva il bosco nel medioevo. Il paesaggio che accompagnava il viaggiatore medievale era in gran parte boscoso.

Boschi più o meno estesi dovevano ricoprire gran parte della vallata e rappresentavano una vitale risorsa economica per la popolazione che da essi ricavavano i frutti spontanei, legname, selvaggina e quant’altro necessario per la vita quotidiana.

Il bosco era talmente importante per l’economia del tempo che era oggetto di stima anche una parte di esso.

Nel bosco, oltre ai prodotti spontanei, si raccoglieva il miele e la cera degli sciami selvatici; nel bosco si allevavano i maiali. Il legno era l’unica sorgente di calore.

Con il legno erano costruiti gli attrezzi, le case, le botti e tini per il vino; dalle piante si ricavavano molte sostanze medicinali: il legno, la scorza, la frutta, le radici, le foglie offrivano una molteplicità di prodotti dalle note virtù.

Le querce fornivano ghiande per i maiali; le castagne (fresche, secche, in farina), costituivano un elemento fondamentale dell’alimentazione della popolazione per molti mesi all’anno specialmente per quelli invernali.

Di castagne si cibavano i montanari, emigrati in inverno come pastori o come tagliaboschi carbonai.

Il libro dei fumanti del 1249 e successiva addizione del 1256, è un censimento che il comune bolognese fece di tutti gli abitanti del contado, completo dell’elenco dei nobili ed esenti del territorio, dove i rustici erano sottoposti ad un regime fiscale diverso, più gravoso rispetto a quello dei cittadini.

La condizione di rustico doveva essere dichiarata e pubblicata in modo da non causare dubbi.

In questo libro sono indicati quali rustici di Frassineta: Naldo, Borlengo, Monzardina vedova di Rainunzolo con Guidotto suo fratello, Pietro Volpi e Bombello. Nella successiva addizione del 1256 è cancellato Antonio, peraltro non elencato nel 1249. Dai libri dei fumanti del 1282 e del 1286 non sono immediatamente riscontrabili quelli abitanti in Frassineta.


L’estimo del 1315 è particolarmente interessante perché si trova tra due trend secolari divergenti: la forte crescita demografica dal 1000 al 1300 e la lunga depressione dal 1300 fino ai primi decenni del Quattrocento che registrò un notevole calo degli abitanti e l’abbandono di molti villaggi.

Come detto sono note le limitazioni che presentano questi estimi perché per avere una visuale completa degli insediamenti occorrerebbe conoscere anche la consistenza di tutta la proprietà privata esistente nel territorio; considerando però che la proprietà cittadina era ancora molto limitata nel contado specialmente in questa zona così impervia e poco adatta alla coltivazione dei cereali o di quanto potesse addivenire a buoni guadagni, possiamo ritenere che le immagini dateci dagli estimi medievali sul numero degli insediamenti sia abbastanza fedele, in special modo per Frassineta.

L’unico proprietario censito a Frassineta in quest’estimo è Saracino del fu Ubaldino che possedeva una casa ubicata vicino alla via pubblica; non è specificato se la struttura era in muratura o in legno ma la copertura era con piagne. Saracino paga l’estimo anche per 7 tornature di qualità arativa sempre in Frassineta.


Sono ancora due i nuclei abitativi in Frassineta censiti nell’estimo del 1385.

Il primo è quello di Giovanni del fu Testo del fu Bertolino stimato insieme a Testa Pasini. Entrambi abitano in una casa in muratura coperta di piagne e possiedono il medato, generalmente una struttura con piancito e all’epoca coperto con paglia il quale poteva essere utilizzato anche come deposito di attrezzi e rifugio o stalla per gli animali e sul piancito facevano il fuoco, e il fumo caldo seccava le castagne poste sopra il caniccio. I loro beni confinavano con la via pubblica. Probabilmente è insieme che lavoravano le 6 tornature di terreno stimate, delle quali non è indicata la qualità ma si può ipotizzare che fossero a lavorativo, tenuto conto che a lavorativo é la qualità della tornatura di Sarasello nella stessa località denominata “La Chiusura”, supposizione che può essere avvalorata anche dal fatto che Giovanni e Testa possedevano anche due buoi da giogo, aiuto indispensabile nel lavoro dei campi. Giovanni era anche proprietario di 4 pezze di terreno a castagneto, a querceto e a bedosto e di 8 tornature a lavorativo; altri appezzamenti di terreno erano in località “Campo dei pozzi”, “Caselino”, “La Chiusura di Sotto e Il Campo del Frumento”. Il terreno a querceto e a bedosto denominato “Al campo del frumento” confinava col mulino; presumibilmente quello di Frassineta. Completano la stima 2 vacche, 10 pecore e 4 capre.

Il secondo nucleo era quello di Sarasello e Franceschello, figli del fu Jacobello del fu Baldinuccio che abitavano una casupola coperta con piagne, avevano il medato, coperto con paglia e accanto all’abitazione coltivavano un appezzamento di terreno. La stima comprende anche 1 tornatura a lavorativo, 2 pezze a lavorativo misto al castagneto e con un casamento in località “Chiusura” e “Pradoselli”, nonché 15 fra pecore e capre e 1 porcella.

L’estimo successivo, il primo del XV secolo è quello del 1411/1412, il quale oltre ad essere molto circostanziato è il primo che riporta il numero dei componenti il nucleo familiare e la loro età; rimane il dubbio sul numero effettivo dei fumanti perché non è da scartare l’ipotesi della momentanea assenza volontaria dei lavoratori in occasione della sua stesura.



Estratto da: “Frassineta e i suoi abitanti dagli estimi medievali e moderni” di Bruno Rovena, in : “Frassineta, un insediamento dell’Alta Valle dell’Idice, la sua gente, la sua storia”, Fondazione Itaca Editori- Pianoro 2005

L’antico oratorio di Frassineta

Bruno Rovena

L’oratorio dedicato a Maria Vergine Assunta in Cielo fu eretto certamente nel tardo XVII secolo. Raffaele Della Casa nei suoi “Cenni storici di Campeggio” lo indica come il più antico fra gli oratori del territorio. Storici contemporanei, e lo scrivente, non ritengono che l’oratorio di Frassineta sia il diretto continuatore dell’antica S. Maria di Cella Mazolaria, indicata negli estimi ecclesiastici del 1392 e menzionata come Ecclesie S. Marie de Cella Macellaria in Bisano, nel capitolo “Ecclesie Bononie et Diocesis de anno 1408” nella “Succolettorìa dello spoglio e delle Galere Pontificie di Bologna”; inoltre alcuni suoi possedimenti risultano confinanti con dei beni di alcuni fumanti censiti nell’estimo di Bisano del 1475, mentre, per contro, non appare mai, quanto meno come confinante di beni, in nessun estimo di Campeggio. Tutto ciò avvalorerebbe ulteriormente che la sua ubicazione non fosse nel territorio di Campeggio ma bensì in quello di Bisano, vicino al rio Cella e che nell’antico oratorio della Ss.Annunziata da secoli sotto il giuspatronato della famiglia Cella si può ravvisare l’antica chiesa di S. Maria di Cella Mazolaria.

E’ nella visita pastorale Boncompagni del 1692 che viene nominato per la prima volta l’oratorio di Frassineta, costruito presumibilmente in quegli anni e di proprietà della chiesa di S. Prospero. L’oratorio aveva una dote che comprendeva vari terreni in Frassineta, lasciati da Benedetto Papi e da Francesco Gualandi.

Nel 1755, in prossimità della visita pastorale, il curato della chiesa di Campeggio, don Giacomo Antonio Michelini, redasse un inventario e dell’oratorio vi è la descrizione: “Il detto oratorio è situato e posto in tal forma cioè fabbricato di sassi e coperto di lastre, lambrecchiato di tavelle ò siano mattoni cotti, la porta e due finestre laterali e il suo portico davanti verso sera, come pure un’altra finestra in chiesa posta a mezzo giorno con sua vetriata et anche una piccola pilla e l’acqua santa alla destra di detta porta con una lampada piccola avanti l’altare, quale è intitolata l’Assunzione della B.V.M.”. Un quadro, dove era dipinta l’immagine della Madonna e di altri santi, un baldacchino di tela stampata, 6 candelieri di legno, le tre tavolette per la Santa Messa, 3 tovaglie e copertine, il palio di corame con la sua predella vecchia, e sulla mensa la Pietra Sacra incastrata la sua tela incerata, uno sgabello di noce, la cartella per la preparazione alla S. Messa, le ampolle e una credenza di noce, erano la dotazione delle suppellettili.

Dalla visita pastorale del 1755, parrebbe che la sua struttura fosse in buono stato, mentre nell’inventario del 1781 vi è segnalata una situazione molto critica: sembrerebbe attraverso la sua lettura che l’oratorio fosse abbandonato stante la struttura pressoché pericolante. Verosimilmente fu a seguito dell’ ordine impartito dal visitatore, o la minaccia di una completa rovina del fabbricato, che spinse la popolazione di Frassineta e il curato ad effettuare un radicale restauro conservativo. Nel mese di novembre 1786 fu rifatta “da fondamenti la muraglia tutta dalla parte di Caprenno, compreso ancor il portico all’oratorio di Frassineta, come pure stabilirlo per di dentro tutto, e ricoprirlo di nuovo, le scaffale dell’altare di scaiola, la predella nuova, imbiancarlo col colore travertino, e si spese in tutto Lire 95, quali spese fecero come sopra tutti gli abitanti, e possidenti in detta Villa di Frassineta, essendo di gran tempo quasi scadente detta muraglia verso Caprenno”. Anche le suppellettili furono quasi totalmente rinnovate.

Migliore è la condizione che l’inventario del 1790 presenta: “Il predetto oratorio è situato in mezzo à questa Villa, ed è fabbricato di sassi in calcina coperto a lastre, entro poi è senza tassello e volto, ma ben accomodato con tavelle avanti, ed unito al medesimo oratorio tiene un portico. Qual oratorio fu rimodernato, e di nuovo rifabbricata la muraglia a mezzodì l’anno 1786 a spese della Villa stessa. Vi è un quadro di tela, ove è dipinto la B. Vergine, S. Sebastiano e Rocco donato l’anno 1786 da me curato, essendo tutto logoro l’antico”.

Nella visita pastorale del cardinale Carlo Luigi Morichini (diario 1872-1875) fu riscontrato nuovamente lo stato di abbandono dello stabile: “L’oratorio è a travi, ma tassellato, patisce di umidità tutto attorno verso terra e verso l’altare fino all’altezza della metà delle mura. L’intonaco è tutto caduto nell’angolo interno dal lato dell’epistola. Il tetto verso la porta ha bisogno anch’esso di restauro essendo aperto nel mezzo e vedendosi il cielo. La finestra manca di molti vetri. I terrazzani tutti gli anni con raccolte fatte fra loro celebrano la festa della Beata Vergine”; viene altresì segnalato l’impegno degli abitanti di Frassineta nel concorrere al restauro con materiali ed opere”.

Il 30 agosto 1880 al “Questionario” venne risposto che l’oratorio era stato restaurato, era di forma rettangolare, lungo metri 7 e largo metri 4 ed era amministrato dall’arciprete di Campeggio. Si manteneva colla sua piccola dote di £. 8,40 e colle offerte dei parrocchiani. Aveva un solo altare, non fruiva di alcuna indulgenza e veniva aperto 10 o 14 giorni dell’anno e quando vi si celebrava la messa, più tutto il mese di maggio per recitarvi il S. Rosario. La domenica fra l’ottava della sacra assunzione di Maria, veniva celebrata una messa cantata, il vespro e la processione tutto a spese degli abitanti di Frassineta. Non si eseguivano ordinazioni sacerdotali né l’insegnamento del catechismo. Non vi erano reliquie di santi ma solamente una statua in rilievo di Maria Assunta, in terracotta. L’oratorio non aveva sagrestia e gli apparati si conservavano in una piccola credenza posta dietro l’altare.

Nella visita pastorale del 1887 si legge che l’oratorio era “fornito di quanto occorre al divino culto, ed ogni cosa è mantenuta mercé la premura del Sig. Arciprete, con ogni diligenza”. Nelle visite pastorali degli anni 1901 e 1908, viene segnalato che necessitava di restauri.

Nel 1914 fu concesso, per il triennio 1915 – 1917, di adempire al legato con la celebrazione di complessive 14 messe, considerato che trasferire altrove l’adempimento sarebbe risultato sgradito alla popolazione della borgata.

L’ultima visita pastorale nella quale viene menzionato l’oratorio è quella effettuata dal cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca di Conegliano del 1927, dove viene specificato che fu restaurato totalmente in quell’anno, forse in occasione della suddetta visita pastorale.

Concorrendo le qualità riportate nelle “Approvazioni” in data 25 giugno 1931, L’Ordinario vi confermò il culto per ulteriori cinque anni.

Una fotografia scattata verso il 1940 testimonia che l’oratorio era, a quella data, ancora ben conservato; purtroppo non fu risparmiato dalle distruzioni compiute dagli eventi bellici.

Oratorio di Frassineta periodo 1940, (foto dal libro Frassineta).

In data 15 ottobre 1953 Padre Graziano Carpani, parroco di Campeggio, denunciò all’Ufficio del Genio Civile di Bologna i danni per eventi bellici subiti degli edifici adibiti al culto e riferì che l’oratorio era stato completamente distrutto ed escludendo una parte di materiale di recupero, tutto era assolutamente da rifare

Nel 1955 l’oratorio fu fatto chiudere d’autorità dal prefetto perché pericolante.

In realtà, come è emerso dai colloqui avuti con alcune persone del luogo, l’oratorio fu sì fortemente danneggiato dagli eventi bellici, ma non completamente distrutto come dichiarato dal parroco; inoltre gli abitanti avrebbero offerto gratuitamente la loro mano d’opera per la sua ricostruzione. Nonostante ciò l’oratorio non fu ricostruito e l’area di pertinenza fu sistemata e destinata a piazzetta.


Bruno Rovena



Estratto dal saggio “L’antico oratorio di Frassineta” pubblicato nel volume “Frassineta, un insediamento dell’Alta Valle dell’Idice.
La sua gente, la sua storia”, Fondazione Itaca Editori-Pianoro, 2005.



"FRASSINETA"

Un bel libro, voluto e scritto: da Tiziana Lorenzini, Bruno Rovena, Giordano Vanti.
Frassineta , delizioso “Borgo Antico” dell’alta Valle dell’Idice.




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